Nessuna dipendenza. Nessuna proibizione

Gocce di Vodka negli occhi

Dai video su Youtube alla preoccupazione degli specialisti per i casi di studenti dei college in Gran Bretagna e negli Stati Uniti che cercano l’ubriacatura super veloce e invece si causano danni alla vista. L’ultima moda si chiama Vodka Eyeballing, il nuovo sballo alcolico che si basa sullo spruzzarsi o versarsi la vodka, ma anche il rum o l’assenzio, direttamente negli occhi.

MODA O GESTO FOLLE? – Uno dei primi a lanciare l’allarme era stato il tabloid inglese Daily Mail circa sei mesi fa, sulla base di 800 video Youtube che mostrano studenti e adolescenti alle prese con l’eyeballing. A lungo si è discusso tra le due sponde dell’Atlantico se questo dato e alcune testimonianze di ragazzi preoccupati per gli effetti sulla vista potesse bastare per parlare di una vera e propria moda o se non si trattasse di gesti folli e isolati. Ma recentemente anche la Bbc se n’è occupata con un documentario trasmesso sul canale 3 inglese dal titolo “Ready Steady Drink“, seguita dal Daily Telegraph. Si interrogano gli esperti, gli oculisti e i medici.

DANNI ALLA VISTA – Chi decide di bere Vodka con gli occhi lo fa perché crede che questo sia un metodo molto più veloce per ubriacarsi, ritenendo che attraverso il bulbo oculare l’alcol arrivi direttamente nel sangue. Secondo i medici, versarsi superalcolici negli occhi serve solo a ferirsi e a provocare infiammazioni mentre appena una piccola percentuale di alcol viene assorbita in questo modo. Danni alla vista, bruciore e lesioni alla cornea sono i rischi causati da questa nuova pratica giovanile.

I FILMATI – Nei filmati su Youtube c’è anche chi si è fatto riprendere sballandosi con assenzio negli occhi, vale a dire con una sostanza che può avere tra il 50 e il 75% di volume alcolico. “E’ come buttarsi candeggina nei bulbi oculari”, ha affermato ai microfoni della Bbc la dottoressa Cindy Tromans, presidente del Collegio degli oculisti del Regno Unito. L’obiettivo dell’ultimo sballo alcolico è l’ubriacatura in tempi rapidi. Il risultato non solo non è quello desiderato ma si possono avere gravi danni collaterali alla salute. E tra le testimonianze raccolte dalla Tv pubblica britannica c’è anche quella di Eddie, un ragazzo di 25 anni che ammette di aver provato l’eyeballing quasi ogni weekend per molti anni prima di uscire per il sabato sera (link al video)

La droga del cannibalismo

L’ultima frontiera dello sballo? Addentare carne umana, ma possibilmente pulita e profumata.

Si tratta infatti di sali da bagno: hanno questa forma le nuove droghe dell’aggressività. Vengono venduti on line, mascherati sottdownload-2o questo nome, ma ai cristalli che sciogliamo nell’acqua della vasca non assomigliano per nulla e hanno un effetto tutt’altro che rilassante. Sono i catinoni e i cannabinoidi sintetici, molecole create in laboratorio, commercializzate su vari siti internet a pochi dollari e con tanto di bugiardino sulle dosi da assumere.
Hanno colori e forme diverse, si presentano sotto l’aspetto di capsule, polveri o cristalli, possono essere ingeriti, sniffati, fumati o assunti con iniezione o per via rettale, per un effetto più immediato. Qualcuno chiama i «bath salts», i sali da bagno dello sballo, la droga del cannibale, perché creano aggressività e deliri in chi ne fa uso. Infatti, in America e in alcuni paesi d’Europa, le smart drugs sono diventate un vero e proprio allarme sociale, anche perché le diverse legislazioni non permettono, per ora, un contrasto efficace ai traffici.
Queste ed altre sono le nuove sostanze psicoattive (Nsp), sintetiche con proprietà farmacologiche e tossicologiche molto pericolose per la salute dei consumatori.
Un problema che sta emergendo a livello internazionale. Le Nazioni Unite, l’International Narcotics Control Board e l’Unione Europea stanno dedicando grande attenzione alle nuove forme di sballo illegale, in grado di far aumentare pressione e battiti cardiaci, dare allucinazioni, agitazione, paranoia e frustrazione. Cannabinoidi sintetici spacciati per incensi, fenetilamine come l’amfetamina, le metamfetamine e l’Mdma, ketamina (anestetico per cavalli) che fa sentire estraniati dal proprio corpo, funghetti, antidepressivi e sedativi oppiacei usati impropriamente, droghe definite «dello stupro», perché incolori e inodori. Se vengono sciolte nel bicchiere non si riconoscono, hanno un rapido assorbimento, disinibiscono e creano amnesia nella vittima.
«Una delle principali difficoltà è che si fa fatica a identificare queste sostanze – dice il dottor Franco Aprà, presidente Simeu (Società Italiana Medicina Emergenza Urgenza) – e ciò complica il lavoro degli operatori di pronto soccorso. Sono droghe che passano indenni i controlli dell’antidoping, ma creano effetti disastrosi. Una risonanza al cervello di un giovane di 20 anni che prende per qualche mese la cosiddetta “droga del cannibale”, sembra quella di un uomo di 80».
Così per far fronte all’emergenza dal 2009, il Sistema Nazionale di Allerta Precoce per le droghe ha attivato un monitoraggio costante sulle Nsp. Si raccolgono segnalazioni da laboratori, pronti soccorso, dipartimenti di tossicologia forense, forze dell’ordine e centri antiveleno, si confrontano con l’Osservatorio europeo sulle droghe e le tossicodipendenze di Lisbona.
Il risultato?  Nel 2016 sono stati registrati: 360 nuove sostanze psicoattive e un numero imprecisato di cannibali in più.

Arrivano in Italia nuove sostanze psicoattive. Tra queste il fentanyl: la droga che ha ucciso Prince

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Fentanyl in soluzione iniettabile

Dopo la notizia dei sei medici calabresi denunciati per prescrizione impropria di preparati a base di fentanyl a tossicodipendenti da eroina, l’Italia deve accettare il fatto che questa NPS (Nuova Sostanza Psicoattiva) sia sbarcata sulle sue coste. E che possa essere una minaccia per tutti, non solo per i cantanti famosi.

Il fentanyl è solo una delle nuove droghe disponibili nel nostro Paese. La Relazione europea sulla droga 2016, infatti, mette in evidenza la disponibilità di ben 98 nuove sostanze, il che porta a oltre 560 il numero totale delle droghe ora sotto monitoraggio.

Nella grande azienda dell’illecito il ‘settore Ricerca e Sviluppo’ non conosce crisi. L’innovazione continua è una delle poche regole che vengono tassativamente rispettate. Per eludere i controlli, la composizione chimica della droga cambia continuamente, in modo da riportarla appena al di fuori della legislazione, nell’area grigia tra ciò è considerato illegale e ciò che ancora non lo è.

Laura D’Arrigo, presidente del consiglio di amministrazione dell’EMCDDA (European Monitoring Centre for Drugs and Drug Addiction), segnala che “nuove minacce continuano ad emergere, in particolare per quanto riguarda lo sviluppo delle droghe sintetiche”.  Tra le nuove arrivate ci sono la flakka, il fentanyl, l’ethylphenidate, le spice drugs e la burundanga. E infine la già nota PMMA, meglio conosciuta col nome di Dr. Death: una vera e propria sostanza killer.

Come si può arginarne la diffusione sul mercato nero?

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burundanga

“Di certo non sarà un approccio deterrente e moralistico a disincentivarne il consumo. Ma un’informazione laica e documentata potrebbe aiutare”. Di questo è convinto Massimo Lorenzani, coordinatore del Lab57, Laboratorio Antiproibizionista di Bologna.

“Da anni offriamo un servizio di drug-checking o ‘analisi delle sostanze’. Si tratta di un test colorimetrico che, grazie all’utilizzo di alcuni reagenti, come il Marquis, il Mandelin e il Macke, permette di sapere come è stata ‘tagliata’ la droga e di rilevare le, spesso letali, NPS. In questo modo possiamo informare le persone in tempo reale, ad esempio durante rave party o street parade”.

L’analisi delle sostanze, quindi, potrebbe aiutare ad arginare la diffusione delle nuove droghe. In Italia, però, è tutt’ora considerata illegale, ostacolata dalle autorità e surclassata da costosissime campagne di proibizione.

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fentanyl 

Ma la proibizione, da sola, sembra non bastare. Come semplicizza (forse troppo) Mark Twain: “Adamo era solo un essere umano, e questo spiega tutto. Non voleva la mela per amore della mela. La voleva perché era proibita. Lo sbaglio di Dio fu quello di non proibirgli il serpente. Perché allora avrebbe mangiato quello”.

 

NPS (Nuova Sostanza Psicoattive) Cos’è? Effetti
Flakka È una droga stimolante, ‘cugina’ delle anfetamine. I cristalli di Flakka, di colore bianco o rosa, possono essere mangiati, sniffati, iniettati oppure fumati con una sigaretta elettronica Iperstimolazione estrema, paranoia, allucinazioni. In caso di “delirio eccitato”, una sindrome dovuta al sovradosaggio di Flakka si sono verificati episodi di aggressioni violente e di autolesionismo
Fentanyl Oppioide sintetico appartenente alla classe delle Fenilpiperidine, 100 volte più potente della morfina. Viene venduto sotto forma di polvere bianca o beige Gli effetti sono simili a quelli degli altri oppiacei: analgesia, sonnolenza, cambiamenti dell’umore (euforia, sedazione, letargia e apatia) e obnubilazione mentale
Ethylphenidate Alternativa economica alla cocaina, viene venduto sotto forma di polvere bianca. Effetto euroforigeno e psicostimolante. L’uso per via iniettiva aumenta la diffusione di infezioni e malattie ematiche.
PMMA, meglio conosciuta col nome di Dr. Death, oppure di pillola di Superman Venduta sotto forma di pastiglie rosa con stampigliato il logo di Superman. È simile all’ecstasy È euforizzante, favorisce la socializzazione e aumenta la disinibizione, esattamente come l’ecstasy. Al contrario di quest’ultima, però, è a rilascio graduale: agisce con uno scoppio ritardato di due ore, un intervallo di tempo che può spingere i consumatori meno attenti ad aumentare la dose, con risultati devastanti per la salute.
Spice drugs Cannabinoidi sintetici. Hanno in comune con la marijuana solo l’aspetto esteriore. La base vegetale tritata che ricorda le infiorescenze della cannabis, infatti, viene successivamente irrorata di composti chimici. Incredibilmente più potente della marijuana, ha come effetti l’aumento del battito cardiaco, la xerostomia e una alterazione della percezione e dell’umore, con conseguenti stati confusionali.
Burundanga o “respiro del diavolo”. Il nome chimico è Scopolamina. È un farmaco alcaloide allucinogeno ottenuto da piante della famiglia delle Solanaceae Totale eliminazione della forza di volontà, sonnolenza, tachicardia. L’overdose può causare delirio, allucinazione, paralisi, stato stuporoso, perdita di coscienza e morte.
     

 

 

LO SBAGLIO DI DIO

Lunedì 25 luglio approda alla Camera dei Deputati la proposta di legge che ha l’obiettivo di legalizzare la cannabis e i suoi derivati nel nostro paese

 

“Un’implicazione importante e un’efficace politica di riduzione del danno è la legalizzazione di tutte le sostanze” scrive Don Andrea Gallo nel Cantico dei drogati. E prosegue: “A sentire questo molti tromboni cominciano a sbuffare e in tono scandalizzato si sussurrano l’uno nell’orecchio dell’altro: ‘Ma allora qui si vuole un società di drogati’. Stupidaggini. Legalizzare le droghe vuol dire, prima di tutto, darsi nuove regole”.

Un’affermazione forte, una presa di posizione netta su un tema controverso il cui dibattito divide l’opinione pubblica da anni. Si tratta, in effetti, di un problema complesso, con implicazioni sociali, politiche, economiche, sanitarie, culturali e amministrative, a proposito del quale non sempre è facile schierarsi in maniera univoca. Per essere nella condizione di poter operare una scelta ragionata sarebbe necessario soppesare tutti i ‘pro’ e i ‘contro’, tutte le possibili conseguenze. Conseguenze che, per loro natura, possono essere visibili solo a scelte fatte.

Ed ecco che ci ritroviamo nel mondo fuggevole delle ipotesi e delle previsioni, dove possiamo divertirci a generare una miriade di conseguenze, che però saranno sempre solo ‘possibili’ o, nella migliore delle ipotesi, ‘plausibili’. Un mondo ben distante dalla realtà dove, invece, non abbiamo il coraggio di cambiare nulla. Non ci sentiamo pronti a scegliere qualcosa di alternativo solo per vederne le conseguenze. È quasi obsoleto ricordare quanto siamo terrorizzati dai cambiamenti, e quanto invece apprezziamo la quotidianità delle azioni ripetute e dei copioni imparati a memoria. Certo è, come diceva il famoso scrittore Warren G. Bennis, che “se continui a fare quello che hai sempre fatto, continuerai ad ottenere ciò che hai sempre avuto”.

E, in effetti, è esattamente quello che è successo. Centocinquant’anni di ‘guerra mondiale alla droga’ senza risparmio di mezzi non hanno fatto altro che dimostrare che questa tattica non funziona.

A sottolineare la situazione di stallo in cui si trova la legislazione delle sostanze e la necessità di un cambiamento, si ricorda la convocazione, con tre anni di anticipo (si sarebbe dovuta svolgere nel 2019), della tradizionale Assemblea Generale delle Nazioni Unite Speciale sulle droghe (UNGASS). Dalla discussione, svoltasi dal 19 al 26 aprile a New York, si evince principalmente un bisogno di innovazione: non è più possibile che gli organismi di governo mondiale continuino ad applicare le solite politiche antidroga, conducendo il business ‘as usual’. Non si possono ignorare le innovazioni in corso in alcuni paesi del mondo, e da qui la necessità di un “full and honest debate”, invocato più volte dal Segretario Generale Ban Ki Moon durante l’Assemblea.

In effetti, negli ultimi anni, la legislazione che regola il possesso, l’utilizzo e la coltivazione della cannabis è cambiata in alcune aree del mondo. Nel dicembre del 2013 l’Uruguay è diventato il primo stato nazionale ad aver pienamente legalizzato la canapa, seguendo l’esempio di due stati americani (Colorado e Washington) che autonomamente, rispetto alle direttive federali, avevano liberalizzato l’uso della marijuana anche a scopo ricreativo. In Europa la cannabis continua ad essere considerata illegale in Germania, Francia, Italia, Regno Unito, Irlanda, Grecia e Finlandia. L’Olanda per ora resta l’unico paese dell’Unione Europea ad averne depenalizzato il consumo, il possesso, la vendita e la coltivazione: si può acquistare presso gestori autorizzati e controllati dallo Stato (i.e. Coffee Shop) e può essere coltivata per uso personale. In Spagna, invece, la questione è assai più controversa: da una parte è considerato illegale possedere marijuana e farne uso in luoghi pubblici, dall’altra parte è legale coltivarla e fumarla all’interno delle mura domestiche. In Portogallo invece, ne è stato depenalizzato l’utilizzo (come per ogni altro genere di droga, provvedimento del 2001) ma, si continua a procedere con l’arresto o l’invio a centri di riabilitazione nel caso si venga trovati in possesso di tale sostanza. La Svizzera, infine, ne ha depenalizzato il possesso e la coltivazione, ma continua a considerare illegale la vendita e l’utilizzo.images (1)

L’evidente schizofrenia delle regolamentazioni mostra come l’ostacolo principale alla legalizzazione di questa droga non sia tanto la droga in sé quanto il fatto di averla precedentemente proibita. Sono infatti ormai innegabili gli usi terapeutici del delta-9-tetraidrocannabinolo (THC), uno dei più noti principi attivi della canapa, per la cura del dolore, delle convulsioni e delle spasticità muscolari. Di recente, inoltre, la scoperta di due tipi di recettori dei cannabinoidi, il CB1 e il CB2, ha portato allo sviluppo di nuove tecniche terapeutiche.

La proibizione di una sostanza, però, apre uno scenario ben diverso dall’analisi scientifica e razionale dei suoi effetti; rimanda ad un’idea morale e familiare di protezione. Il legislatore-padre proibisce la droga ai cittadini-figli, e lo fa ‘per il loro bene’.  Come se loro, troppo piccoli, ignoranti e sprovveduti, non fossero in grado di andare oltre al piacere immediato generato dalla sostanza e dovessero per questo essere protetti dalle condotte dannose per loro stessi. Una norma decisamente paternalistica se consideriamo che non siamo disposti a permettere allo Stato di intromettersi tra noi e i nostri piatti, le nostre sigarette o i nostri bicchieri di vino.  Eppure sappiamo benissimo che una cattiva alimentazione, una vita sedentaria, il fumo di tabacco, l’alcol e i troppi caffè nuocciono alla nostra salute.

Questo perché, come sostenuto da Peter Cohen in un recente intervento al convegno “Droghe, ripartiamo da Genova”: “la salute non è un argomento. Non lo è mai stato. Lo è il diritto umano ad esporsi a potenziali effetti positivi, così come è nostro diritto poterci esporre ai pericoli. Lo Stato non può obbligare nessuno a massimizzare la propria salute, come non può convincerlo a considerare la propria salute più importante della felicità o dell’ambizione”.

Ma togliamo di mezzo qualunque dubbio. Assumere droghe, che si tratti di the, eroina, caffè, alcol, marijuana, tabacco, cocaina o ecstasy, fa male. E togliamo di mezzo anche un altro equivoco: non ci sono scusanti, sarebbe sempre meglio non farlo. Eppure, nella condizione in cui si trova la legislazione italiana, è molto difficile distinguere tra i danni dovuti all’abuso di sostanze e quelli che sono stati invece provocati dalla stessa proibizione, dalla ‘war on drugs’.

Oltre all’ormai nota ‘bulimia carceraria’ degli ultimi anni, che ha portato più di 20.000 persone (dati West, 30 giugno 2016) ad essere condannate e detenute per reati minori legati alla droga, si registra una autentica persecuzione di massa se si pensa che alla maggior parte di queste persone è stata appiccicata addosso l’etichetta di ‘drogato’. Questo stigma di fatto impedisce il reintegro nella società con una occupazione legale (chi vorrebbe assumere un drogato?) e porta all’emarginazione di questi soggetti, incapaci di essere accolti da nessun’altro mondo se non da quello della droga, dal quale sono appena usciti.  Senza contare sono molti i consumatori che commettono crimini per poter disporre del denaro necessario per acquistare la sostanza. Si potrebbe dire che la proibizione, mantenendo alto il prezzo degli stupefacenti, dissuada dall’uso (W. Hall e M. Lynskey, 2016). Per contro, è proprio l’illegalità di tale commercio che, facendone aumentare il prezzo, potrebbe indurre qualche consumatore a dedicarsi al furto o allo spaccio per poter disporre del denaro.  E non si tratta solo di piccola criminalità. Purtroppo dal parere inviato il 1 luglio dalla Direzione Nazionale Antimafia e Antiterrorismo alle Commissioni giustizia e affari sociali della Camera dei deputati si evince che “il traffico illegale di stupefacenti – compreso quello della cannabis – alimenta e moltiplica le risorse finanziarie delle organizzazioni di tipo mafioso (nazionali e non) e dunque, fra l’altro, la loro capacità di produzione della cannabis”.

È dunque la droga o la proibizione di essa a essere criminogena? La questione è molto delicata e l’osservazione statistica in questo campo è del tutto inutile, visto che ‘droga’ e ‘criminalità’ sono due variabili correlate (rilevabili in concomitanza), ma tra cui è impossibile dimostrare un rapporto di causa-effetto.images (2)

Inoltre, connaturate al contesto di illegalità, pratiche di adulterazione e degenerazione della qualità delle sostanze sono all’ordine del giorno. Si tratta di prassi economicamente proficue sia perché permettono ‘tagli’ delle sostanze vantaggiosi per il pusher, sia perché aiutano a eludere i controlli riportando la composizione chimica appena al di fuori della legislazione.

Ma una delle argomentazioni più utilizzate per giustificare la reticenza nei confronti della legalizzazione resta il rischio della ‘gateway hypothesis’, ovvero del passaggio alle droghe pesanti.  Formulata nel 1955, in un’audizione al senato da Harry Anslinger questa ipotesi vede nelle droghe leggere (come la cannabis) una porta capace di condurre verso le droghe pesanti. Anche ammettendo la distinzione (molti studi dissentono a questo proposito, i.e. Amato e Davoli, 2014), non esistono basi scientifiche a supporto di questa ipotesi (MacCoun, Reuter, 2001). Quindi, lungi dall’essere effettivamente indotto dall’uso di marijuana, l’effetto gateway potrebbe piuttosto essere favorito dal regime di illegalità che caratterizza la cannabis e quindi dalla sua compresenza, sul mercato illegale, con sostanze ben più pericolose.

Ci troviamo quindi all’interno di uno scenario complesso, in cui non è possibile operare delle scelte facendo ricorso esclusivamente alle cosiddette scienze esatte. Eppure oggi assistiamo alla continua discesa in campo di scienziati, farmacologi, psichiatri, tossicologi e altri esperti in materia che pretendono di dettare legge. Tutti incapaci di rendersi conto che, come sostiene lo psichiatra Giovanni Jervis, “per l’ideologia dominante, la ‘droga’ non è affatto riducibile a un insieme di sostanze chimiche: è piuttosto un virus, un’infezione contagiosa; anzi, più che questo, una possessione. Di fatto, il concetto di possessione demoniaca nell’occidente cristiano costituisce il precedente storico più significativo dell’attuale ideologia sulla dipendenza. La possessione era identificata come uno stato psichico a cui veniva attribuita la capacità di espropriare totalmente la volontà del soggetto”.

Senza contare che la droga non è mai solamente la droga, ma l’interazione della sua composizione chimica con la ‘chimica’ del consumatore e con il contesto culturale di consumo. Le droghe, infatti, sono dei quasi-veleni. La questione è cercare di evidenziare in quali circostanze individuali, sociali e con che dosaggi esse possano diventare socialmente pericolose o fisicamente letali, esattamente come veleni.

La difficile scelta sulla legalizzazione quindi, non può esimersi dal considerare questi argomenti e la speranza è che la discussione della proposta di legge italiana prevista a partire dal 25 luglio alla camera ne tenga conto.download

E speriamo in una scelta sensata. Perché di errori, come semplicizza (forse troppo) Mark Twain, ne sono già stati fatti fin troppi in passato. “Adamo era solo un essere umano, e questo spiega tutto. Non voleva la mela per amore della mela. La voleva perché era proibita. Lo sbaglio di Dio fu quello di non proibirgli il serpente. Perché allora avrebbe mangiato quello”.

 

 

 

 

 

Droga bestiale

E’ da tempo immemorabile che gli esseri umani si divertono… ad intossicarsi. Dai nostri antenati cavernicoli che masticavano piante allucinogene, agli abitanti dei villaggi medievali che erano abituati a rilassarsi con una bella tazza fumante di idromele, fino ad arrivare agli hippies degli anni ’60: senza alcun dubbio l’uso di droga è uno dei nostri passatempi preferiti.

Tuttavia, non possiamo vantarci di detenere un primato neppure per l’intossicazione. Anche gli animali ci danno dentro con le droghe. Vediamo come…

I gatti e l’erba gatta

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Uno degli esempi più noti di animali che utilizzano sostanze stupefacenti è quello dei gatti, anch’essi dipendenti a modo loro ‘dall’erba’. Molti proprietari hanno testimoniato l’entusiasmo dimostrato dai loro amici felici alla sola vista di una bella piantina di Nepeta (questo infatti è il nome scientifico del vegetale). Bastano pochi fili di quest’erba per rendere felice il tuo micio. Nel giro di qualche minuto inizierà a mostrare i primi sintomi, si comporterà in maniera strana e divertente: strabuzzerà gli occhi, si sdraierà e comincerà a rotolarsi per terra, annuserà l’aria e avrà un’aria felice come mai prima d’ora.

gatto sballato

Alcuni gatti cominciano a sbavare ( il mio lo fa anche senza l’ausilio della nepeta…). Gli studiosi hanno addirittura ipotizzato che alcuni felini intossicati dall’erba gatta possano soffrire di allucinazioni: sono infatti molti i casi i cui i padroni li hanno sorpresi alla caccia di topi  invisibili.

 

La sostanza chimica che induce queste reazioni si chiama nepetalactone. I gatti sembrano rispondere alla sostanza chimica così come risponderebbero ai feromoni prodotti dall’altro sesso, mostrando quindi, oltre alle bizzarrie, anche comportamenti di eccitazione sessuale.

Ma attenzione: non per tutti i gatti funziona allo stesso modo. E’  interessante notare che la “personalità” dei singoli felini ha una forte influenza sul modo in cui risponderanno all’assunzione di erba gatta: i più coccoloni ed amichevoli avranno una risposta più positiva rispetto a quella di conspecifici più timidi e riservati. Inoltre, il 33% dei gatti non avrà alcuna reazione al nepetalactone per motivi ereditari.
Ma non sono solo i gatti domestici ad amare lo sballo. Anche grandi felini come tigri, leopardi, linci hanno nella droga il loro punto debole.. Per esempio, i giaguari sono ghiotti di ayahuasca, nota anche come yagé. Questa pianta contiene il DMT, molecola psichedelica, che provoca allucinazioni vivide e un innalzamento generale dei sensi.

 

I delfini, per sballarsi, spremono i pesci palla

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Più volte è stato osservato nei delfini un comportamento strano, quasi inspiegabile. Nuotano rapidi lanciandosi a vicenda un pesce palla e tenendolo a turno in bocca. Subito i ricercatori hanno pensato che si trattasse di un gioco, vista la natura amichevole di questi mammiferi. Studi più approfonditi, però, hanno dimostrato  che, ‘stressando’ il pesce palla, i delfini cercano di ottenere il rilascio di una neurotossina, che questi pesci secernono nei momenti di pericolo. Chiusi nella bocca del delfino, i poveri malcapitati cercano di liberarsi lanciando raffiche di neurotossina, senza sapere che i delfini sono alla ricerca proprio di quella trance che ne deriva.
Questo comportamento è stato registrato in un documentario della BBC prodotto dallo zoologo Robert Pilley, che ha commentato “Si tratta in genere di giovani delfini che vanno volutamente alla ricerca di questo effetto inebriante. E sono anche molto abili nel maneggiare i pesci palla, facendo in modo che la tossina venga rilasciata in piccole quantità, capaci di sballarli senza avvelenarli. Come in tutte le dipendenze che si ripettino, infatti, stanno rischiando la morte. Dosi massicce di neurotossina sono letali.”

 

Mucche al pascolo su prati di Locoweed
Le mucche, così come le pecore, i cavalli e altri ungulati, sono animali curiosi. E, almeno nel cibo, la natura li accontenta: grandi prati assolati offrono un’infinita varietà di erbette da assaggiare.

Ed è così deprecabile cadere nella routine dei soliti pasti che a volte i nostri ‘erbivori eroi’ si lanciano alla ricerca della mitologica “locoweed”. Questa piantina dev’essere una sorta di ‘elisir di lunga vita’ per sole mucche. Con un piccolo attributo in più: l’esistenza. Eh già, perché l’erba ‘loca’ non è solo una leggenda ma una potente droga inebriante, che agisce come un tranquillante, mettendo gli animali nella condizione di vivere come in un perenne sogno.wooly-locoweed---astragalus-mollissimus

Più la mucca pascola sulla locoweed, più smettere di farlo le risulterà difficile. L’animale sarà sempre meno interessato alla vita del branco e a qualunque altra attività che possa rubare tempo prezioso alla ricerca dell’erba loca.
L’ingestione di locoweed diventa alla lunga altamente pericolosa, causando una grave malattia conosciuta come “locoismo”. I sintomi iniziano a manifestarsi dopo 2 o 3 settimane dalla prima assunzione e comprendono la perdita di peso, disfunzioni riproduttive, aborti, e danni neurologici. Gli animali con locoismo sviluppano un comportamento instabile, caratterizzato da un estremo nervosismo e possono diventare aggressivi se non vengono trattati con le dovute precauzioni. Mucche killer,dunque, e pure insolitamente depresse. La tossina, infatti,  può raggiungere le sinapsi neurali e diminuirne le prestazioni, provocando una tristezza irreversibile.
Lo stambecco e i licheni allucinogeni
Sulle Montagne Rocciose ma anche sulle nostre Alpi, il grande Re incontrastato ci guarda dall’alto, con le sue imponenti corna e il suo incedere solenne.  Lo stambecco. Che bestia maestosa.

014b2-orizz1Ma come ogni grande sovrano che si rispetti, anche lui nasconde i suoi peccatucci. Nell’intimità della solitudine la nostra grande capra cornuta sarà completamente deviata dalle sue regie attività, al fine di soddisfare la sua dipendenza dai licheni allucinogeni. Per loro è disposto a tutto: arrampicarsi su stretti e impervi sentieri, superare sporgenze di roccia ripide e franose, rischiare la pelle.

Ma, una volta raggiunti, ogni fatica sarà ricompensata. Lo stambecco raschierà i licheni con i denti anteriori, se necessario li digrignerà fino alle gengive per poterne ingoiare di più. E finalmente potrà godersi il suo ‘trip’.stambecco che sniffa i licheni

 

 

 

 
Cosa si mangia stasera per cena? Amanita Muscaria.

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Molti cervi, renne, alci e caribù sono ghiotti di questo fungo che, per intenderci, è quello con l’ombrello rosso a pois bianchi. Da sempre il fungo velenoso per eccellenza, quello delle streghe e dei boschi incantati.

Visto l’aspetto decisamente esoterico, senza dubbio cenare a base di amanita muscaria ha le sue ingrate conseguenze. Alcuni guardia-boschi cuneesi, che hanno dichiarato di aver visto alcuni cervi mangiare i funghi psichedelici, raccontano così la loro esperienza. “Sembravano ubriachi” dice uno di loro “vagavano senza meta ciondolando la testa, e a volte si muovevano a scatti, come se fossero in preda agli spasmi”.

“E’ pericoloso” continua il suo collega ” diventano estremamente vulnerabili agli attacchi dei predatori e spesso lasciano incustoditi i cuccioli. Bisognerebbe fare in modo che non li trovassero. Maledetti funghi, li fanno impazzire”.

Nei nostri boschi sono fin troppo presenti. Ma anche se ce ne fossero di meno la situazione non cambierebbe…

In Siberia, Scandinavia, e in altre regioni desolate dove i caribù sono molti più dei funghi reperibili,infatti,  gli animali hanno adottato una nuova tecnica per potersi comunque drogare. Bere urina di caribù intossicato è diventata una consuetudine. Che spesso porta alla morte.

Il problema nasce dal fatto che, dopo il passaggio attraverso il sistema nervoso, gli agenti psicoattivi dei funghi diventano più potenti, e molte delle sostanze chimiche che provocano effetti collaterali indesiderati raddoppiano la loro efficacia. Così i bevitori di urina, che si attendono un effetto decuplicato, rischiano di andare incontro a spiacevoli conseguenze. Noi umani la chiamiamo “overdose”.
Canguri drogati di oppio

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In Australia cresce circa la metà dell’oppio coltivato legalmente (utilizzato, ad esempio, per i prodotti farmaceutici).

Poi ci cresce anche l’altra metà. Di quel bel rosso illegale.

Il mercato ne gioisce. E i canguri pure.

Tanto che, nel 2009, in Tasmania, il procuratore generale Laura Giddings ha lanciato un’allerta:” I canguri stanno causando gravi problemi per la sicurezza delle colture. Sono alti, e saldando scavalcano qualunque tipo di recinzione. E da drogati diventano paranoici e aggressivi”.
Da chi abbiamo imparato a bere?
Il Dr. Robert Dudley ha proposto nel 2015 quella che è conosciuta come “The Drunken Monkey ipothesys”, l’ipotesi della scimmia ubriaca. Secondo questo ricercatore, gli esseri umani hanno sviluppato  l’attrazione per l’alcool come conseguenza dell’imitazione dei loro cugini primati e delle esigenze evolutive. Una delle principali fonti alimentari dei nostri antenati, infatti, era la frutta caduta dagli alberi. Stra-matura. Quasi marcia. Sicuramente fermentata.Forniva un contenuto calorico elevato e permetteva di risparmiare tempo ed energia per potersi dedicare alla caccia. Ed ecco sbocciato il nostro amore per l’alcool.
Ma questa predilezione per la frutta fermentata non si rintraccia solo negli uomini e nelle scimmie.
Le api preferiscono consumare nettare fermentato, e berrebbero 100% di etanolo se solo ci fosse la possibilità. “Sono in grado di bere etanolo puro, puro! Nessun altro organismo ne sarebbe capace -. Neanche uno studente di college”, dice ridendo  il ricercatore Charles Abramson, della Oxford University.
Poi è noto il ‘binge drinking’ dei moscerini della frutta e la passione degli scimpanzè per la birra.

Per gli elefanti poi, è diventata una specie di rito iniziatico. Quando pensa che sia giunto il momento del passaggio all’età adulta, mamma elefante porta i suoi piccoli a ubriacarsi di frutta fermentata. Meraviglioso. Anche se non sembra che acquistino un’aria molto più sveglia e matura.

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La nuova droga dei rave party: il cacao

Migliora la funzione cognitiva, la pressione sanguigna e il profilo metabolico, o almeno così dice la scienza, ma non è un farmaco. Stimola il cervello e garantisce tonnellate di energia anche quando si è stanchi, ma non è una droga. O forse sì? Si può bere, mangiare e perfino sniffare e il suo consumo è in aumento in certi rave party che hanno luogo di mattina in molte capitali europee e non solo. La sostanza che moltiplica il divertimento e amplifica il benessere legato al ballo e allo stare insieme è quanto di più innocuo si possa immaginare: la consumano in grandi quantità anche i nostri figli, dalla colazione alla cena.

È il cacao il nuovo carburante virtuoso dei party che non finiscono mai.

Cocktail di sostanze, manca solo l’alcol
Il cacao sprigiona il massimo delle proprie virtù da crudo: le sostanze che contiene costituiscono un cocktail i cui effetti non sono quelli di alterare lo stato di coscienza, come le pasticche, gli acidi e in parte anche l’alcol. Con il suo consumo si resta pienamente padroni di se stessi ma con una serie di sensazioni positive che consentono di godere appieno dell’esperienza che si sta vivendo.

Il magnesio per esempio, aiuta a produrre energia, corrobora i muscoli e fortifica le ossa. Il ferro agevola il trasporto dell’ossigeno all’interno del corpo. La feniletilamina alza il tono dell’umore ed è forse la principale responsabile di quell’effetto “dipendenza” che molti consumatori di cioccolato sperimentano. E poi ci sono i flavonoli che abbassano la pressione, migliorano la funzione vascolare e hanno effetti antiossidanti.

Conscious clubbing

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Ma perché invece di bere birra chi va a ballare dovrebbe sgranocchire cioccolato fondente? Il movimento è partito 3 o 4 anni fa in Gran Bretagna, con realtà come Morning Gloryville, che organizza rave mattutini ormai in mezza Europa, Roma inclusa, ma anche in Canada, Giappone e Australia.

Il suo ideatore, Marten Andersson, spiega che per rimorchiare ed essere il re o la regina della pista da ballo rimpinzandosi di alcol basta un dilettante, è da sobri che la sfida ritrova il suo sapore. E Lucid, che una domenica al mese a Berlino organizza eventi mattutini a base di ballo scatenato, frullati e cioccolato.

Amplificare il divertimento
Ruby May, una delle organizzatrici di Lucid, intervistata dal sitoOzy, sostiene che il cacao, lungi dall’obnubilare i sensi, come fanno alcol e droghe, “amplifica” l’esperienza che si sta vivendo.

La sferzata di energia che garantisce e tutti i benefici dovuti ai suoi preziosi ingredienti metterebbero insomma il cacao in cima alla lista delle droghe buone, che favoriscono il divertimento senza lasciare i tristi sintomi dell’hangover il giorno dopo. Del resto l’idea di andare a ballare alle 7 di mattina prima di entrare in ufficio, come invitano a fare i party oranizzati da Morning Gloryville, rappresenta di per sé un cambio di paradigma piuttosto marcato. E chi non ha voglia di ballare può fare yoga, ginnastica dolce, massaggi.

Più che un modo per concludere una giornata stressante di lavoro cercando di dimenticare i propri guai, qui si tratta di cominciare bene una giornata di lavoro potenzialmente faticosa, con un atteggiamento positivo e una bella carica energetica/rilassante/antistress.

Questione di naso

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E per dare a ciò che è innocuo un tocco trasgressivo c’è perfino chi ha inventano un dispostivo che consente di sniffarne la polvere. E’ il chocolatier belga Dominique Persoone, che assicura si tratti di una pratica tanto soddisfacente per i sensi quanto innocua per la salute. Per apprezzarlo al meglio però il cioccolato non va sniffato da solo, sarebbe troppo secco e poco soddisfacente, dice Persoone, e darebbe poche sensazioni. Meglio mischiarlo con altri ingredienti che lo esaltino. Lui ci ha messo di tutto, dal bacon all’erba, ma i migliori sono menta e zenzero che aggiungono un piacevole pizzicorino senza arrivare agli eccessi del peperoncino: “Ho provato ad aggiungerlo al mix ma è stata una pessima idea”.

Basta crederci

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Quello inventato da Persoone è però più lo strumento adatto a un rito per fanatici del cioccolato che non un sistema di assunzione pensato per amplificare gli effetti positivi degli ingredienti di base del cacao.

Che poi, diciamolo, sono presenti comunque in quantità talmente minime da rendere improbabile un vero sballo.

Quello che aiuta i ballerini del mattino a sprigionare il massimo dell’energia è probabilmente più un mix di sobrietà (che ha un potente effetto energizzante), ora del giorno (la mattina si hanno naturalmente più energie che alla sera tardi e alla notte) ed effetto placebo, che non agisce solo con i farmaci ma anche con i cibi. Comunque sia, come dice Woody Allen, basta che funzioni.

“Ho detto di sì alla droga. Ma non avevo capito la domanda”

La dipendenza patologica come disturbo cerebrale cronico

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Il DSM-V e l’ICD-11, i due testi internazionali di riferimento per la diagnosi psichiatrica, riportano le conseguenze dello slittamento teorico del concetto di ‘dipendenza’. I sintomi di tolleranza e crisi d’astinenza della classica definizione biomedica hanno lasciato il posto ad una diagnosi che prende in considerazione l’uso compulsivo di una sostanza, la perdita del controllo volontario e l’apprendimento patologico. La dipendenza, quindi, come disturbo cognitivo.

L’attuale concezione biomedica dell’abuso di droghe, infatti, riflette le nuove scoperte nel campo delle neuroimmagini e parla di dipendenza come di una malattia cronica del cervello. Come aveva espresso Steven Hyman[1], in una review del 2005, “La tossicodipendenza rappresenta una usurpazione patologica dei meccanismi neuronali dell’apprendimento, della memoria e di altre funzioni cognitive che, in circostanze normali servono a modellare i comportamenti di sopravvivenza legati all’ottenimento di premi e agli stimoli che li possono prevedere.”

Le regioni cerebrali e i processi che sono alla base della dipendenza patologica, infatti, si sovrappongono ampiamente a quelle che sostengono i processi cognitivi, quali l’apprendimento, la memoria, il ragionamento, ma anche il decision making, l’immaginazione e l’attenzione. Per questo motivo l’uso cronico di droghe è spesso associato a problemi nelle funzioni cognitive e i soggetti che vivono la condizione della dipendenza spesso presentano carenze nei processi decisionali, perdita del controllo degli impulsi e funzioni mnemoniche altamente compromesse.

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L’origine neurologica di questi sintomi è la disregolazione (prodotta dall’assunzione della sostanza) del sistema della ricompensa. Normalmente, la segnalazione di un aumento della dopamina all’interno di questo sistema –specificatamente nello striato ventrale e nel nucleo accumbens- produce sensazioni di piacere che orientano gli individui a perpetuare nell’esecuzione di tutte quelle attività che permettono la sopravvivenza, quali mangiare, fare sesso, individuare ambienti favorevoli. Alcune azioni, però, come l’assunzione di droga, pur determinando elevati incrementi della dopamina nel nucleo accumbens, non sono idonee alle finalità adattive e di sopravvivenza dell’individuo. Le sostanze d’abuso ipersollecitano questo sistema producendo aumenti improvvisi ed ingenti di dopamina cui seguono intense sensazioni di benessere. Ciò, oltre a non avere alcuna finalità adattiva, motiva un ulteriore consumo di droga e promuove, allo stesso tempo, la formazione di associazioni disadattive droga-stimolo.

Sebbene la modificazione del sistema della ricompensa dopaminergico rimanga una importante spiegazione al fenomeno della dipendenza, essa non è sufficiente a sostenere cambiamenti complessi e di lunga durata. Secondo Marco Diana e Liana Ferrante[2], neurofarmacologi e docenti all’università di Sassari, mentre l’uso iniziale di droga promuove la formazione di associazioni disadattive droga-stimolo, che contribuiscono alla continua ricerca di droga e al suo utilizzo, è durante le fasi successive che i processi cognitivi ed altre funzioni esecutive subiscono gravi danneggiamenti. La cosa risulta ancora più grave dal momento che niente, come le nostre capacità cognitive, è in grado di sostenerci verso il ritorno ad una piena astinenza. La loro compromissione instaura un circolo vizioso dal quale diventa veramente difficile uscire.

Secondo Diana e Ferrante, il ruolo cardine nella tossicodipendenza rimane sempre quello della dopamina che -influenzando sia il circuito della ricompensa (nucleo accumbens e striato ventrale) sia la corteccia prefrontale- provoca squilibri sia nell’emotività che nelle funzioni cognitive. Questo porta il soggetto vittima di dipendenza ad una sequenza infinita di decisioni sbagliate, modificando il suo comportamento in modo da focalizzarlo su una sola, immediata quanto evanescente, attività: la ricerca e l’assunzione della droga.

Apparentemente ha detto di sì alla droga, ma quanto effettivamente il suo cervello gli ha permesso di comprendere la domanda?

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[1]Clinical Judgment and Decision Making, Annual Review of Clinical Psychology, Vol. 1: 67-89 (Volume publication date April 2005)

[2] Marco Diana, Liana Ferrante, ‘Drug addiction: an affective-cognitive disorder in need of a cure’. Pag. 13-15

Quadri “fatti” di marijuana

 

Le tecniche che ogni artista decide di adottare per esprimere la propria creatività sono svariate. Ma poche sono controverse come quella utilizzato dell’artista brasiliano Fernando De La Rocque, che realizza i suoi dipinti… con il fumo di marijuana.

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Fernando soffia il fumo sulla tela attraverso delle maschere precedentemente preparate, scurendo il tessuto con cui entra a contatto.

Lo sforzo? Evidentemente minimo, dato che si tratta di uno ‘stencil’. L’unico impegno consiste nella preparazione preventiva delle maschere e nell’accendersi una canna (ammesso che in questo caso si possa parlare di impegno).

E infatti è lo stesso artista ad ammettere quanto non sia tanto il soggetto in sé ad essere rilevante. E’ provocatoria la tecnica utilizzata. È questa ad averlo reso famoso. Non sarebbe mai uscito dall’anonimato con degli stampini fatti con le tempere.

Il suo scopo era suscitare clamore e contestazioni. “Le questioni polemiche costringono le persone a pensare e a discutere”. Questo voleva Fernando. Far parlare la gente.

Senza dubbio ci è riuscito.

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E a chi gli chiede come si sente dopo avere realizzato un quadro, Fernando risponde semplicemente che non c’è niente di meglio del “creare arte con piacere”.

ARRESTATO A PALERMO: FIDELIZZAVA I CLIENTI AGGIUNGENDO UN PIZZICO DI OPPIO AI SUOI PIATTI.

L’attività illegale del ristoratore cinese è venuta alla luce dopo che un cliente è stato fermato durante un controllo anti-stupefacenti di routine. Il ragazzo, il ventiseienne Liu Juyou, alla guida della sua auto, è stato trovato positivo ad un test dell’urina ed arrestato.

L’incredulità del ragazzo sembrava una mossa strategica, e nessuno gli ha creduto quando con occhi sgranati chiedeva “Cos’è che avrei assunto?”. “Oppio. Come puoi non saperlo?” Liu non è riuscito a convincere la polizia di non aver mai fatto uso di droga, e dopo il fermo è stato condotto al Carcere dell’Ucciardone, istituto penitenziario nel centro storico di Palermo.

Ma la sua famiglia non si è arresa. Convinti dell’innocenza del figlio i due anziani coniugi Juyou si sono messi ad indagare sulle cause di quell’incredibile positività alla droga. Dopo solo due settimane di intense ricerche, sono risaliti al ristorante del loro compatriota, e hanno deciso di concedersi una romantica cenetta.

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Una volta usciti, con la pancia piena, sono andati dritti in ospedale, dove i loro dubbi sono stati confermati da un’urino-cultura. Con le analisi in mano, sono tornati alla polizia, che ha finalmente aperto un’indagine più accurata sulle pratiche del ristorante.

C.C., giovane ristoratore cinese, interrogato per ore dalla polizia, avrebbe ammesso di aver comprato due chili di semi di papavero oppiaceo per l’equivalente di 70 euro, e di utilizzarli quotidianamente per condire i suoi piatti. I suoi noodles erano apprezzati e ricercati, e convincevano anche i clienti più scettici a ritornare nel locale. Il loro gusto stratosferico era dovuto essenzialmente all’ingrediente segreto: una spolverata di oppio.

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Sfortunatamente per Liu, però, l’accertata colpevolezza del ristoratore non ha sortito grandi vantaggi: la sanzione per guida sotto effetto di stupefacenti gli è stata comunque comminata perché il giudice ha ritenuto non rilevante il fatto che lui avesse assunto la droga non intenzionalmente.

 

Uno scorpione al giorno toglie il medico di torno.

E’ semplicemente stufo di essere morso dagli scorpioni. Ogni giorno, percorrendo il breve tratto di strada che separa la sua abitazione dai campi, si ripromette che quella storia deve finire, e che quelle stupide bestie velenose ne devono pagare le conseguenze. Anni e anni di patimenti, di sopportazione silenziosa. Ma adesso è giunta l’ora della vendetta.

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Siamo già nel ventunesimo secolo, ma in Iraq vige ancora l’antica legge del Taglione. Così  Ismail Jasim Mohammed, contadino di Agelam, decide di mettere a punto il suo piano. Una vendetta esemplare. Talmente ignorante da risultare squisitamente chic. “Occhio per occhio, dente per dente” dice la legge del Taglione, ma è soprattutto la seconda metà della frase a solleticare le fantasie vendicative del rozzo contadino, quel ‘dente per dente’ che gli suggerisce la soluzione brillante alle sue sofferenze. E il giorno seguente, appena il malcapitato animale si appresta a mordergli un polpaccio, Ismail scatta in avanti, azzannandolo a sua volta. Gli recide la testa con una sonora smascellata, poi è la volta della coda. Mastica lentamente, con gusto: la vendetta ha davvero un buon sapore.

Talmente buono che Ismail continuerà a mangiare scorpioni vivi. Ogni giorno. Per tutta la vita. Chissà poi perché. Sarà quel delizioso croccantino sotto i denti…ma proprio non ne può fare a meno. Una mania, o forse sarebbe meglio dire, una vera e propria dipendenza. 

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Secondo quanto riportato da Oddity Central, Ismail avrebbe sviluppato una immunità e al contempo una dipendenza nei confronti del veleno contenuto nella coda degli scorpioni. Si tratta di una miscela di neurotossine, ovvero tossine composte principalmente da proteine e cationi di sodio e di potassio, che bloccano il normale funzionamento del sistema nervoso. E’ questa la ‘dose’ quotidiana di Ismail. Se non la assume va in crisi di astinenza, come succede per qualunque altra droga. Solo che qui non basta pagare per ottenere la classica pallina di stagnola, non bastano i contatti del pusher. Per ‘farsi’ Ismail deve rincorrere la sua dose e catturarla, possibilmente viva.

D’estate il problema non si pone. Nei dintorni di Agelam, ce ne sono talmente tanti che devi stare attento a non calpestarli e a non lasciarli entrare in casa. Ismail non si può lamentare: i suoi spuntini sono abbondanti, succulenti e direttamente a domicilio.

Le cose si complicano in inverno: anche gli scorpioni patiscono il freddo e non si fanno vedere in giro. L’uomo si è trovato costretto ad allevarne a casa una piccola riserva personale per soddisfare il proprio appetito.

E sicuramente nessuno oserà mettere in dubbio che si tratta di ‘consumo personale’.